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Seven Habits of Highly Effective People, ovvero le sette regole che, se applicate nella vita di tutti i giorni, portano al successo.

A metterle nero su bianco è stato il formatore ed educatore americano, Stephen Covey, scomparso di recente, nel 2012, e diventato uno dei punti di riferimento della formazione manageriale, e non solo, perché le sette abitudini possono essere applicate nella vita quotidiana da chiunque.

Non a caso si parla di “abitudini” e non di “regole”. Queste ultime implicano un’imposizione, mentre l‘abitudine presuppone prima un convincimento della bontà di quanto proposto, e poi l’applicazione costante nella propria quotidianità. Ecco perché le indicazioni di Covey sono valide per tutti.

Ma cosa vuol dire “higly effective people”? In italiano, il titolo del best-seller di Covey si traduce in genere con “persone di successo”, ma letteralmente vuol dire “persone molto efficaci”. Proprio quest’ultima parola, “efficaci”, è un termine chiave, che indica un certo modo di vivere e agire. Significa, infatti, ottenere risultati in linea con i propri obiettivi e le sette abitudini sono il metodo per farlo.

Le abitudini di Covey, dunque, segnano un percorso che consente di incrementare la propria capacità di raggiungere gli obiettivi personali e professionali che ci si pone.Ma quali sono le sette abitudini? Iniziamo un viaggio alla loro scoperta, partendo dalla prima: be proactive.

La prima abitudine di Stephen Covey: Be Proactive

La prima abitudine fa parte del gruppo della “Indipendenza”, a cui appartengono le prime tre.
Be proactive, ovvero essere pro-attivi. Pro è un prefisso che indica anteriorità, nello spazio e nel tempo.  Essere pro-attivi, significa dunque “agire prima”. Per Covey, vuol assumersi la responsabilità della propria vita, ovvero imparare a riconoscere che tutto è diretta conseguenza delle proprie azioni, e che la propria vita non è governata dal fato, ma che ognuno è responsabile di successi e insuccessi.

Le persone pro-attive sono, dunque, consapevoli di essere al centro delle proprie decisioni e non trovano qualcuno con cui prendersela se le cose non vanno nel verso giusto. L’ambiente esterno conta, certamente, ma nel senso che fornisce elementi a cui la persona pro-attiva risponde.
Nella risposta ad uno stimolo sta  la nostra più grande forza: è in quel momento, infatti, che abbiamo la libertà di scegliere la risposta. Così, si può essere pro-attivi sempre e ovunque, anche in prigione: un esempio per tutti, Nelson Mandela, che ha perseguito il suo scopo anche in carcere.
Certo bisogna essere consapevoli che non si può agire su tutto. Per questo, essere pro-attivi vuol dire anche essere capaci di selezionare ciò su cui spendere le proprie energie e il proprio tempo.

Come si sviluppa la pro-attività? Ci sono quattro abilità da implementare:

  • auto-consapevolezza, ovvero ascoltare se stessi per comprendere profondamente i propri pensieri, sentimenti,  parole, azioni;
  • immaginazione, fondamentale per individuare e creare più opzioni tra cui scegliere in ogni situazione;
  • sana coscienza, per poter distinguere tra cosa è giusto e cosa è sbagliato;
  • volontà indipendente, ovvero sapere che ognuno è responsabile delle proprie decisione e che deve accettarne tutte le conseguenze.

Qual è l’identikit di chi è pro-attivo? Si tratta di una persona che non si lamenta mai per ciò che gli capita e che, con sobrietà, è consapevole delle sue responsabilità. Sottolineiamo sobrietà, perché essere pro-attivi non vuol dire spingere per sentirsi motivati o entusiasmo sopra le righe. La persona pro-attiva concentra i propri sforzi e il proprio tempo su ciò che può controllare, come il proprio lavoro, la salute, la famiglia, non su cose di cui non hanno controllo, come il tempo, il debito pubblico, le crisi internazionali. Infine, Una persona pro-attiva usa un linguaggio causativo: “io posso”, “io preferisco”, piuttosto che “non posso”, “mi tocca”, “se solo potessi”.

Il prossimo appuntamento è con la seconda abitudine: “Begin with the end in mind”.